venerdì 7 agosto 2015

Una mattina nella Contea


Spesso, mi lamento di dove vivo, per il fatto che sia molto isolato, perché con tutti i sempreverdi che ci sono non ho la soddisfazione di vedere le stagioni passare.  Però, ci sono volte in cui adoro le mie colline, e mi rendo conto della fortuna che ho, con questo posto che riesce sempre a sorprendermi. Basta girare l’angolo e trovare, grazie alla pulce nell'orecchio che ti ha messo un pannello bianco con una freccia verde, una stradina che ritenevi chiusa di nuovo aperta, che ti fa piombare in paesaggi degni della Contea, la terra degli Hobbit nel Signore degli Anelli di Tolkien.


 Questa scoperta l’ho fatta qualche giorno fa, in una passeggiata di fine pomeriggio che si è protratta fino a sera, tanto che quando sono tornata a casa mia madre mi ha accolta con un “Finalmente!” al quale io ho risposto con un sognante “Ho trovato la Contea”. Spronata dal fatto che non c’erano né cagnetti fastidiosi sulla strada né ciclisti (altra cosa strana, perché qui di solito non se ne vedeva neanche l’ombra), avevo infatti seguito quella freccia verde e trovato la stradina aperta e con un pannello indicante che ci potevano passare pedoni, ciclisti ed animali da soma e trasporto. Non appena ho cominciato ad addentrarmi in quel sentiero in mezzo alla vegetazione, mi è sembrato di varcare uno di quei paesaggi fantastici e pieni di pace descritti da Tolkien. Sulla mia destra, campi dai quali di tanto in tanto arrivava il suono della campana di un qualche animale al pascolo, sulla mia sinistra il bosco, davanti a me quel piccolo sentiero tra le alte piante di cardo, di more, di finocchio e selce. E dappertutto, la melodia degli uccelli, nel loro ultimo canto prima della notte, e del ruscello che scorreva sulla mia destra, quello stesso ruscello del quale fin da piccola sognavo di scoprire la fonte. Non vi dico la mia emozione quando ho visto davanti a me innalzarsi uno dei piloni del tratto ferroviario. Ne ho già trovato uno in un’altra stradina in mezzo alla foresta vicino a casa, e c’è sempre la stessa emozione di meraviglia di fronte a quelle immense arcate costruite ai tempi del fascismo. Nonostante siano qualcosa di artificiale, non penso che stonino con il paesaggio, ma che anzi gli diano più fascino.



C’era qualcosa che mi attirava, che mi diceva di proseguire per scoprire dove quel sentiero, d’improvviso più aperto, andava a finire. Ma la sera era decisamente avanzata, ed il fatto che il ciclista che avevo poco prima incrociato non fosse ancora tornato mi faceva pensare che forse il percorso era decisamente lungo. Così, seppur a malincuore, sono tornata indietro, ripromettendomi, ovviamente, che sarei tornata il prima possibile.


 Ed è quel che ho fatto ieri, alzandomi di mattina prima che iniziasse il gran caldo in modo da avere più tempo. Nella mia borsa, una bottiglietta d’acqua, la fotocamera e l'mp3, che ho ascoltato per un po’ ed infine ho lasciato perdere per lasciarmi cullare e coinvolgere dai suoni della natura. Il percorso all'inizio era forse lo stesso, ma mi riservava qualche sorpresa. Infatti, ho trovato sulla mia strada una bella tartaruga terrestre.


 Amo le tartarughe terrestri. Quelle d’acqua hanno la grazia del nuoto dalla loro, ma queste...le trovo buffe, nella loro goffaggine e nel loro coraggioso avanzare contro ostacoli vegetali e non. Ed in ogni caso, sorpresa delle sorprese, non sarebbe stata l’unica che avrei incrociato! Ben due sono seguite a quella, una che prima si è fatta annunciare per tutto il fracasso che faceva spostando la vegetazione...


 ...ed un'altra proprio nel bel mezzo del sentiero, che quando mi ha sentita arrivare si è velocemente rifugiata nel suo guscio per poi, una volta che mi sono messa davanti a lei ed ha capito che non correva alcun pericolo, lentamente, un poco ad ogni respiro, è uscita per osservarmi.



 Oltre alle tartarughe, a farmi compagnia c’erano anche miriadi di libellule nere e farfalle di tutti i colori, arancioni striate di nero, violette, bianche, e quelle grandi dalle ali color avorio ritagliate in piccoli rombi da strisce nere. Le mie preferite. Credo inoltre di aver spaventato mezza popolazione pennuta della zona, tra poiane, ghiandaie e corvi.


 Ho attraversato diverse piccole pozze d’acqua che si gettavano nel fiumiciattolo alla mia destra. Lungo il percorso, cambiava. Mutevole, poteva essere rapido quando immobile e con un’infima pellicola opaca sopra, profondo qualche decina di centimetri quanto impantanato, visibile così come coperto da strati e strati di rovi. Vicino alla prima di queste pozze d’acqua, oltre alle tracce degli pneumatici di bici, ho trovato impronte ben diverse...


 Cinghiali! Non so quanti, purtroppo non so leggere bene le tracce animali, ma sono riuscita a distinguere sia delle impronte grandi che di più piccole. Una famigliola deve essere passata lì di notte, quando tutto è calmo.


 Anche la strada, come il fiume, era mutevole. Da quel piccolo sentiero tra le erbe che avevo seguito all'inizio, si allargava per lasciar intravvedere strati di foglie cadute e muretti,  grosse pietre coperte di rovi ai quali si arrampicano fiori dalle bianche corolle a campanula o muschio, campi incolti delimitati da fichi, per poi tornare a diventare un sentierino in mezzo alla vegetazione. Personalmente, ho preferito queste parti, è bellissimo essere circondati da piante più alte di te e alberi. Ed inoltre, sulla riva del fiume, è arrivato l’albero che, per tutta una serie di motivi, dico che mi perseguita. Un enorme e maestoso salice piangente. Ce n’era già uno fuori dal laboratorio degli scavi. Ce n’è uno poco lontano dall'imboccatura della strada per la Contea. Dovunque io vada, state sicuri che ad un certo punto incrocerò un salice piangente. Molti lo vedono come un albero triste, con quei rami che s’incurvano sino a terra, ma a me non ha mai trasmesso questo sentimento. Come le querce, sono maestosi, ma se la quercia è forza bruta nella sua maestosità, il salice è grazie ed eleganza. Per questo, insieme alla quercia, è il mio albero preferito.



 D’improvviso, la strada è diventata sempre più pietrosa, finché al mio lato sinistro si è aperta in un grande campo. Dopo la natura quasi selvaggia, era come se ci fosse qualcosa di più controllato, in quello spazio. Lentamente, anche il paesaggio è cambiato, e degli alberi hanno cominciato a circondarmi. Poco prima di addentrarmi nel loro fitto ho trovato una biforcazione, ma ho preferito tirare dritto. Accanto a me, nel campo erano spuntate delle strane formazioni rocciose coperte di vegetazione che mi facevano un po’ pensare ai funghi.


 E poi, gli alberi hanno lasciato il posto alla roccia.


 Mi chiedevo decisamente dove fossi finita. Fino a che, d’un tratto, poco oltre una pozzanghera, non ho trovato una vasca scavata nella roccia.


 E a qualche metro dalla vasca...


 La fonte, tanto a lungo sognata, del ruscello di casa mia! Non vi dico che emozione è stata. Un sogno di bambina che d’improvviso si realizzava! L’acqua freschissima esce da una fenditura nella roccia, si impantana un po’ e poi diventa il fiumiciattolo che ho sempre conosciuto e del quale senza saperlo ho seguito il percorso sino alla fonte. Finalmente, ce l’ho fatta.


 Dopo la fonte, la strada diventa sempre più civilizzata, una sorta di strada bianca, come qui vengono chiamate alcune stradine di campagna. Il caldo era forte e l’ora tarda, ma la curiosità che mi spingeva sin dall'inizio della mia passeggiata c’era sempre, e mi spronava ad andare avanti, almeno fino ad avere un indizio della zona in cui mi trovavo. Così, mentre al mio lato la lussureggiante vegetazione che avevo visto prima era ormai irrimediabilmente sostituita da campi visibilmente ben tenuti e intravvedevo una prima casetta su un’altura, ho continuato. Ho scoperto diversi nuovi sentieri, uno dei quali sembra tornare a qualcosa di simile alla foresta. Gli altri, continuano in strade bianche. Tutto questo, finché, d’un tratto, non hanno cominciato ad apparire accanto a me i grandi cancelli delle case di campagna. Però, c’era anche qualcos'altro, un rumore di sottofondo che dopo il canto degli uccelli ed il mormorio dell’acqua sembrava quasi una nota stonata nel mondo. Macchine, che d’improvviso ho visto in lontananza su una superstrada, insieme ai camion. Il ritorno improvviso alla civiltà. Ma ancora, non sapevo dove fossi  finita. Così, ho continuato, finché d’un tratto è sbucato fuori un cartello stradale con scritto ‘Strada Vicinale Sos Laccheddos’. Zona mai sentita prima...ma mi sono ripromessa di cercare su internet. Quindi, sono tornata indietro, accaldata ma aiutandomi ascoltando musica, anche perché era oltre mezzogiorno e volevo andare ad un’andatura più sostenuta. Non so perché, ma ascoltare musica mentre cammino mi fa andare più veloce. Ho fatto cinque minuti di pausa alla fonte, anche per rinfrescarmi, sennò sarei morta di caldo. Avevo camminato praticamente senza interruzione per due ore e mezza. Il ritorno è stato decisamente più rapido. Ci ho messo un’oretta, senza contare la ventina di minuti che ci sono tra l’imboccatura della strada per la Contea e casa mia. Sulla strada, ho incontrato un’altra tartaruga. Credo che fosse la prima che avevo visto all'andata, perché era più o meno nello stesso punto.


 E così, sono tornata a casa. Felice per la mia impresa, e non vedo l’ora di ritornarci, anche se magari quando farà un po’ meno caldo. Mi sono informata su internet, è ho scoperto molte cose.


 La strada nella foresta si chiama ‘Strada Vicinale Barca’. Anche se di vicinale ha ben poco, visto che non c’è l’ombra di una casa. Anticamente, era utilizzata da carri e contadini a piedi che venivano dalla zona di Monte Bianchinu, a Sassari, per utilizzare i mulini che si trovano nella mia zona, alcuni dei quali oggi sono diventati case di campagna. Prende il nome dall'omonima fonte, chiamata Fonte Barca. Il perché di questo nome, ancora non l’ho scoperto, ma state sicuri che ce la farò. La fonte com'è oggi, con quel tubo che ne facilita l’uso, è stata sistemata nel XIX secolo. La strada, invece, è stata riaperta da qualche mese nell'ottica di un progetto del Comune di Sassari, che vuole riaprire alcune antiche e oggi dimenticate strade usate dalle comunità della zona fino a qualche decennio fa per poter fare un percorso di escursione e trekking che circondi la città e alla fine sia di circa 30 chilometri. Credo che sia un progetto decisamente intelligente, non solo per far scoprire la storia di questa zona ma anche semplicemente per offrire il piacere di una bella passeggiata nella natura incontaminata. Piacere del quale approfitterò senz'altro ancora e che spero di avervi fatto un po’ sentire con questo post. Grazie per aver letto, e a presto!



                



mercoledì 5 agosto 2015

Il suono della pioggia mi è sempre piaciuto. A volte diventa abituale, nei mesi d’autunno ed inverno in cui è normale che piova. Ma poi, arriva l’estate, e allora la pioggia ti sorprende una mattina particolarmente nuvolosa. Questi sono i momenti in cui arriva la pioggia che preferisco. C’è qualcosa di confortante, che va al di là del fatto che questo vuol dire che l’afoso clima rinfrescherà, in quel ticchettio ovattato così pieno e reale quando si è fuori e così sognante quando tra te e la pioggia c’è il tetto. Penso che una delle cose più belle sia addormentarsi con il suono della pioggia. Forse perché il calore delle coperte ed il fatto che il rumore sia ovattato dalle tegole trasmettono una sensazione di protezione e conforto unica, un po’ come quella che deve provare un ghiro in letargo nella sua tana. E quella luce grigia che diventa padrona del cielo e quei profumi della natura che d’improvviso risaltano amplificati su tutto il resto non fanno altro che aggiungere un tocco di magia.

 

lunedì 27 luglio 2015

Quel che resta degli scavi

Tutto ha una fine. Si sa, è una frase anche banale. Ma, anche dopo, ci sono cose che restano, più o meno evidenti. Di questi primi scavi, me ne rimangono molte. La famigerata abbronzatura da archeologo, con sulla schiena la traccia evidente della canottiera. Un po’ di inchiostro di china sotto un’unghia che non riesco assolutamente a togliere, ricordo dell’ultima frettolosa siglatura di ceramiche al laboratorio. I muscoli delle braccia un po’ più evidenti di prima. Fino alle sei di sabato pomeriggio avevo il lieve senso di nausea dell’alcolica festa di fine scavo. Ma queste sono solo cose fisiche. Professionalmente, ho imparato molto, Al di là del fatto che ho finalmente qualcosa con cui riempire il mio vuoto curriculum. Ma questo è un aspetto molto marginale. Non ho mai pensato di studiare o di lavorare per fare soldi, molti mi giudicheranno un’irresponsabile sognatrice ma una vita basata sul profitto mi è sempre sembrata squallida, e in ogni caso non avrei scelto di intraprendere questa strada se lo avessi voluto. Parlo delle cose che ho imparato, di ciò che ho visto. C’è un’emozione particolare e unica, forse impossibile da descrivere, quando all'improvviso, dopo giorni passati a rimuoverlo, uno strato di cenere finisce e ne comincia uno di argilla, di una sfumatura più scura e così plastico che puoi divertirti con i tuoi colleghi a fare delle statuine a forma di Totoro di Miyazaki. Anche la commozione nel fare un giro nell'area cimiteriale e vedere due bambini sepolti l’uno accanto all'altro, con le mani sul ventre, ha poco di paragonabile. Per non parlare di quando all'improvviso ti spunta davanti il manico di una lucerna di una ceramica che ti pare così perfetta, nel suo delicato colore rosa chiaro e nella sua sottigliezza. Ci sono poi i deliri improvvisi, le foto di gruppo fatte alla pausa postate su facebook, le frasi senza senso dette a mezzogiorno, quando il caldo è al suo picco e resta ancora un’ora di lavoro prima di smontare, lo scassatissimo gazebo che ti cade in testa esalando l’ultimo respiro, sostituito a sorpresa il giorno dopo dal comune che te ne regala uno nuovo. Ci sono le battute, un campione di sedimento avvolto in carta stagnola che viene chiamato ‘Bambinello’ perché effettivamente la sua forma, quando lo prendi tra le braccia, assomiglia a quella di un neonato, il capo area che ogni volta che qualcuno del settore romano viene a dirti le sue mirabolanti scoperte ti ricorda che tu non hai il nulla cosmico, ma una canaletta alla cappuccina unica e bellissima, la collega che ha un riso così contagioso e particolare che ogni volta che ride chiunque lo senta in tutto lo scavo deve bere un sorso d’acqua perché gli spagnoli hanno deciso di lanciare questa piccola presa in giro. E poi, le serate, uniche, in alloggio. I giorni che più ho apprezzato lì sono stati il sabato e la domenica, quando da ventisette passavamo a massimo dodici e allora rimenavamo a riposarci cercando di non delirare per il caldo dalla mattina al pomeriggio, per poi andare al bar a bere qualcosa, stare su internet e mangiare una pizza a cena, per infine guardare tutti insieme un film con il computer o chiacchierare sul retro della palestra del più e del meno. Spesso, però, le nostre conversazioni riflettevano le normali, credo, preoccupazione della nostra generazione: il lavoro quasi impossibile da trovare se non si va all'estero, l’incertezza del futuro e del potersi creare una vita tutta sua, il piano b di riconvertirsi in qualcos'altro, perché magari l’amico di qualcuno ha smesso di fare l’antropologo ed ha aperto un negozio biologico riuscendo finalmente a vivere come Dio comanda e qualcuno pensa di fare la stessa cosa, se tra qualche anno continua ad essere nella situazione di vivere solo con una insufficiente borsa di dottorato.

Ci sono state tutte queste cose e anche molto di più in queste cinque settimane, e sinceramente, tralasciando il momento in cui mi sono svegliata con la sensazione di aver decisamente esagerato con il bere la sera prima, non poteva finire in modo migliore. Lentamente, sabato mattina, tutti se ne sono andati, ad orari diversi. C’è chi ha pianto, chi ha fatto un’ultima battuta abbracciando le persone con le quali aveva vissuto così tanti ricordi. Per tutti, c’è stata la promessa di rivedersi l’anno prossimo, quando gli scavi a Santa Maria di Mesumundu riprenderanno alla ricerca di quel monastero benedettino che tutti ignoriamo dove diamine sia.


Ho capito tanto di me stessa. Ho capito il livello di stanchezza che riesco a sopportare, e quanto, alla fine, una doccia fredda possa non essere così terribile. Probabilmente l’anno prossimo farò tre settimane invece di cinque. Le tre ultime, perché le tre prime mi darebbero la stessa sensazione del non finire un buon libro giallo. Ho capito anche che amo l’archeologia, che resta una delle mie più grandi passioni, ma, anche se lo sospettavo da un po’, che non è quello che voglio fare per sempre. Continuerò a fare campagne di scavo perché mi piace, ma basta. La mia via sono i documenti, il ‘rinchiudersi in un ufficio in mezzo a vecchie e muffite scartoffie e non vedere nessuno’, come lo ha spregiativamente definito un collega una volta che si parlava di ciò che pensavamo di studiare dopo la triennale. Credo che sia tra le cose più importanti che ho imparato in queste settimane. Ed è una delle magie del mio corso di studi. Pochi hanno la fortuna di poter far fin dall'inizio il proprio mestiere, pur senza essere pagati. E’ una fortuna assoluta. E della quale sono felice di aver approfittato. 


venerdì 3 luglio 2015

Scrupoli archeologici

Una delle cose più paradossali dell'archeologia è che alcune delle tecniche per arrivare alla conoscenza sono distruttive, cioè distruggono, in un certo modo, l'oggetto che si va a studiare. Lo scavo ne è uno degli esempi più eclatanti. Nel momento in cui si va a togliere metri di terra, a prendere reperti, ossa, e toglierli dal loro contesto originario, si va a distruggere tale contesto, senza possibilità di tornare indietro. Sapevo già questo concetto, ripetuto così spesso a lezione, ma credo di toccarlo con mano solo ora. Scavando con la cazzuola per tre giorni uno strato di cenere che gli uomini che costruirono la 'mia' canaletta misero lì, ancora calda, per rendere stabile la loro opera, e ascoltando il progetto del mio capo area di smontarla per studiarla, e poi non ricomporla più, com'è ovvio, ho riflettuto a come stiamo distruggendo il lavoro di uomini che, secoli fa, si riunirono per fare ciò che noi stiamo per distruggere. Non so bene come immaginarmeli questi uomini. Mi chiedo chi fossero, piuttosto. Contadini? Pastori? Monaci della vicina chiesa, sconsacrata da duecento anni e con pochissime probabilità di riconsacrazione, visto che, come ha trovato il mio capo area in una fonte letterario, per un certo periodo è stata trasformata in una taverna con prostitute? Chissà. In ogni caso, ci hanno messo impegno e sudore nel costruire quella semplice canaletta, si vede da quel modo così elaborato di realizzarla, tanto che all'inizio si è pensato che fosse una tomba. Mi fa uno strano effetto pensare una cosa simile, un sentimento amaro di non rispetto per quel lavoro svolto dieci secoli fa da uomini che, sulla stessa terra sulla quale io cammino ogni giorno, hanno vissuto, mangiato, amato, sono morti. Probabilmente non conoscerò mai la loro identità, ma penso a loro ad ogni passaggio di cazzuola, ad ogni misurazione delle quote di quei laterizi dallo strano simbolo ovale e che probabilmente la prossima settimana inizieremo a smontare. Cercando di non romperli troppo, però. E' un sentimento che ho condiviso anche con la paleopatologa del gruppo, anche se qui l'argomento erano gli scheletri della vicina area cimiteriale. E lei ha risposto che l'importante è portare rispetto a ciò che si andrà irreversibilmente a distruggere. Forse è questa la chiave di tutto. Il rispetto per il lavoro di chi ci ha preceduto, per migliorare la propria vita, per costituire una propria società ed identità, per l'estremo gesto di sistemare una persona che amava in un modo o in un altro prima di dirgli addio definitivamente. Forse, in questo modo, questi fatti non verranno resi del tutto vani.

lunedì 29 giugno 2015

Villaggi

Siligo è un villaggetto nelle colline del Mejlogu, in una zona che, milioni e milioni di anni fa, aveva una forte attività vulcanica. Quei vulcani oggi estinti sono diventati verdi colline, riconoscibili dalla loro cima conica. In particolare, si può notare Monte Santo.


Insieme alle loro forme, i vulcani hanno lasciato una roccia scura utilizzata nell'edilizia. La chiesa di Santa Maria di Mesumundu, la zone nella quale scavo, è in parte costruita con questa pietra.


E' minuscola, costruita su delle terme romane, di impianto bizantino ma ristrutturata anche in tempi recenti. Oggi è abbandonata, e noi la usiamo per metterci i nostri attrezzi. E' bello, ogni mattina, verso le otto, aspettare sempre chi ha la chiave per prendere pale, picconi, secchi, carriole. Ci si gode il fresco del mattino prima dell'intenso caldo che dopo ti ammazza mentre con la cazzuola rimuovi strati di terra che, mano a mano, impari a distinguere gli uni dagli altri per colore e consistenza.

Credo che, quando si scava in città, non si ha un'atmosfera simile. Nel villaggio, dico. Qui tutti si conoscono, la gente ti vede subito come un estraneo. Tutti sanno già, quando ti vedono per la strada, che fai parte della campagna di scavo. E allora, non appena metti fuori il naso per andare a comprare qualcosa o fare semplicemente un giro, ecco che ti fermano per la strada con le domande più disparate. Da dove scavi esattamente a se ce la stai facendo con il caldo, per esempio. Oppure, trovi uno dei simpatici e festaioli coinquilini fuori dalla palestra in cui alloggi che ti chiede se hai trovato qualche osso (cosa che mi fa ricordare dei miei colleghi dell'area cimiteriale che puliscono uno scheletro mentre io mi faccio i calli nelle mani strofinando laterizi...). C'è poi la commessa del negozietto dove prendi le merendine per la pausa di metà mattina che ti chiede come va, e se sei appena tornata, e di fare delle foto così gliele mostri la prossima volta che vai lì. E' un clima molto accogliente, divertente. Molto diverso dallo scavare in una vera e propria città, credo. Lì, la gente è più disinteressata, troppo abituata ad incrociare sconosciuti. Qui è più calmo...e tutto sommato, è una delle cose che mi stanno piacendo.

sabato 27 giugno 2015

Notizie dagli scavi

Buongiorno a tutti!

Scusate la mia improvvisa, lunga (o almeno più lunga del solito) assenza. Tra una cosa e l'altra, non sono riuscita ad aggiornarvi per tempo. La sessione estiva ha iniziato a mangiarmi. Ma è andata bene, al momento. Ora, non sono presente per un altro motivo. Sto partecipando a degli scavi a Santa Maria di Mesumundu, una zona vicina al villaggio di Siligo. C'è una chiesetta di impianto bizantino costruita sopra a delle terme romane, e accanto l'inizio di una necropoli e una canaletta, che è poi la zona dove sono stata assegnata per scavare. I miei giorni stanno passando tra la mattina sullo scavo, parte del pomeriggio in laboratorio e la sera, dove si esce tutti insieme. Lo scavo è internazionale. Al momento siamo italiani, spagnoli, danesi e inglesi. E così passo da una lingua all'altra in meno di due minuti. Sto imparando un po' lo spagnolo. Mi piace molto, amo conoscere persone che non sono del mio paese e rispolverare il mio inglese. E' difficile, era da due anni che non sostenevo una conversazione a momenti mi ritrovo senza parole, ma c'è sempre un modo per farsi, alla fine, capire e imparare un nuovo vocabolo se qualcuno lo sa. Ma, soprattutto, sto finalmente applicando ciò che ho studiato fino ad ora. Molte cose che mi sembravano concetti difficili si rivelano facilissimi (come prendere le quote di ciò che si scava). E si possono scoprire anche talenti che non si pensava di possedere...come per esempio il disegno archeologico.

Insomma, mi sto divertendo parecchio. Ed al tempo stesso istruendo. Due cose che accoppiate fanno un mix fantastico. Lo ammetto, all'inizio avevo un po' paura. Ma, alla fine, è un'esperienza che mi sta piacendo davvero tanto. Spero di replicare l'esperienza l'anno prossimo.

Finirò gli scavi il 25 luglio, e a quel punto dovrei essere un po' più attiva, connessione permettendo. Non so se tornerò in questo piccolo ma carinissimo bar dal quale sto scrivendo in questo momento. Fino ad allora, vi auguro una buonissima estate. Baci!

lunedì 25 maggio 2015

Il Trono di Soldi?

Non so se molti di voi seguano la serie tv Il Trono di Spade. Questo post non parte dalla polemica che in questi giorni si è creata e che spiegherò, ma piuttosto da alcune parole dell’autore dei libri ai quali la serie si ispira (e che sto leggendo proprio in questo periodo) che mi hanno lasciata piuttosto perplessa.


Ora vi spiego cosa ha originato lo scandalo. Se non volete spoiler, non leggete tutto quello che è scritto in caratteri colorati. Altrimenti, proseguite pure.

Nella serie, è successo questo: Sansa Stark, dopo aver sposato il sadico Ramsay Bolton, durante la prima notte di nozze viene violentata dal marito, e Theon Greyjoy, che è praticamente cresciuto insieme a Sansa, è costretto da Ramsay a stare a guardare.
E’ una differenza sostanziale rispetto ai libri. In questi, infatti, Sansa viene portata da Ditocorto al Nido dell’Aquila, e promessa sposa ad un cugino per poi, forse, attraverso gli intrighi di Ditocorto, riprendersi il Nord in mano ai Bolton...ma questo si vedrà nei prossimi libri. Ad essere data in sposa a Ramsay è una finta Arya Stark, la sorellina di Sansa che nel frattempo, dopo molte peripezie, è finita a servire il Dio dai Mille Volti nella città libera di Braavos nella speranza di poter così compiere la sua vendetta. In realtà l’impostora è Jeyne Poole, la migliore amica di Sansa che avevamo perso di vista alla fine del primo libro. La ragazzina, dopo le nozze, incontra un destino simile a Sansa Stark nella serie televisiva, simile certo, ma peggiore. E qui non mi dilungo.
Su questa questione, ho visto la scena ‘incriminata’ (miracoli di youtube...). La cosa ha sollevato un polverone, facendo parlare le associazioni femministe e addirittura una senatrice americana per un atto di violenza tanto gratuito su un personaggio che tra l’altro ne ha già viste tante. Personalmente, penso che si sia visto ben di peggio nella serie del Trono di Spade. Nell’episodio delle Nozze Rosse, dove la madre e il fratello maggiore di Sansa vengono assassinati, ci sono donne incinte pugnalate al ventre, gole tagliate e tanto altro ancora. Qui la violenza è fisica, si vede il sangue, il brillare dell’acciaio. Nella scena di Sansa, invece, la violenza è fuori campo. Il tutto è concentrato sul viso disperato di Theon che assiste e sulla grida della ragazza, e inoltre dura qualche secondo. Una violenza più che altro ‘psicologica’, quindi. Non dico che non sia grave, ma questa serie campa su morti, violenza e immoralità sin dal suo primo episodio. Se si volevano fare polemiche, si poteva farlo da prima, no?


Ora, arriviamo alla questione principale di questo post. Lo scrittore George Martin, sin dalle prime ore dopo la diffusione dell’episodio, si è ritrovato sommerso di mail e messaggi indignati di fan e ne ha scritto anche sul suo blog (qui trovate il suo post). Le critiche, oltre alla gratuità della violenza subita da Sansa, riguardavano anche la differenza abissale tra libri e serie. Differenza, tra l’altro, che non riguarda soltanto la storyline di Sansa, ma anche altre. Insomma, quello che sta accadendo è che mano a mano che le stagioni passano, la serie si stacca sempre di più dalla storia originale raccontata nei romanzi. A questo, Martin ribatte con queste parole: “Molti mi hanno domandato di commentare questa scelta narrativa: io rispondo così, la serie è la serie, i libri sono i libri e ci sono modi diversi per raccontare una storia. Le differenze tra i due prodotti ci sono state dal primo episodio della prima stagione, sarebbe impossibile replicare pedissequamente ogni scena!”. La traduzione l’ho presa da questo articolo di BestMovie.it, sito sul quale le ho tra l’altro lette per la prima volta. E qui, c’è quello che più mi ha turbato di tutta la polemica.


Ciò che mi disturba, e molto, nelle parole di Martin, è la definizione della serie ed in particolare del libro come di un ‘prodotto’. Sentirlo per bocca di uno scrittore, di chi è all'origine della serie letteraria, mi lascia piuttosto perplessa a causa dell’accezione di ‘prodotto’. Prodotto come mero bene di consumo, semplice cosa per fare soldi. Dov’è, allora, l’ispirazione, la creazione, l’estro, tutte quelle cose che dovrebbero caratterizzare uno scrittore che è anche un artista? Dov’è quella passione non proprio razionale che ti porta a scrivere le storie che la tua mente così misteriosamente origina? In un prodotto, io non vedo tutto questo. Vedo qualcosa di materiale, per fare soldi e basta. L’idea che qualcuno scriva solamente per questo, e lo faccia anche in modo consapevole, me lo fa scendere nella stima, e Martin aveva già cominciato a starmi un po’ sui nervi con altre dichiarazioni e fatti. Un esempio è questo: solitamente, uno scrittore fa presentazione in particolare quando escono i suoi libri, ed è anche tartassato dalla sua casa editrice che gli chiede in continuazione un nuovo romanzo. Robin Hobb (si, lo so, vi sto ossessionando con questa donna) è spesso in giro per fiere e librerie, ma praticamente pubblica un libro all’anno, anche di 700 pagine. E Martin? Lui è molto conosciuto proprio per la lunghezza dei suoi tempi di pubblicazione. Il primo volume del Trono di Spade è stato pubblicato negli Stati Uniti nel 1996, il quinto nel 2011. Il sesto è annunciato per il 2016, ma la notizia non è per nulla certa. Martin ha l’abitudine di rinviare la data. Va bene, i suoi libri sono dei mattoni e la trama è complicatissima, ma in quattro anni uno scrittore altrettanto conosciuto, Ken Follett, è riuscito a scrivere una trilogia altrettanto complessa che consta di più di tremila pagine, la Century Trilogy. Ma ora sto divagando, e inoltre chi sono io per criticare i tempi di pubblicazione?
In questi quasi vent’anni, e soprattutto da quando la serie tv ha cominciato ad avere tutto il successo che sta avendo, vediamo Martin dappertutto. Eppure non pubblica un libro da quattro anni, a parte quelli collaterali al Trono di Spade e quelli che scrive a quattro mani con altri scrittori. E ancora una volta non è un libro all'anno. Già questa cosa non la trovo molto normale.


Ma torniamo al termine ‘prodotto’. Va bene, si, un libro è un prodotto che porta economia, e in effetti uno dei motivi per cui un editore te lo compra è quello di farci soldi. Ma è un editore, qualcuno che fa questo di mestiere. Insomma, è già più normale che lui ne parli come di un prodotto. E i prodotti non sono sempre di qualità. Basti vedere quanti romanzetti rosa o erotici sul modello di 50 sfumature di grigio si trovano ultimamente in libreria. Ma che lo faccia uno scrittore, ripeto, mi sembra già meno normale. Annulla tutta la magia che sta dietro la creazione di una storia, tutto l’entusiasmo e l’emozione di quando crei il tuo piccolo mondo personale con le tue creaturine. L’affermazione di Martin mi fa invece pensare che questa serie lui se la sia costruita a tavolino, guardando quello che piace alla gente e mettendocelo tanto per assicurarsi il successo e guadagnare così un pacco di soldi. Un’operazione che mi piace molto poco da chi crea l’arte. Sinceramente, per aver provato nel mio piccolo cosa vuol dire scrivere, mi disgusta anche un po’.


Probabilmente il mio è il punto di vista di una sognatrice, di qualcuno che non ha del tutto i piedi per terra. Beh, io sono fatta così, fa parte del mio essere, probabilmente è anche infantile ma non ci rinuncerei per nulla. Per altre cose, vi assicuro che ce li ho, i piedi per terra. E tra l’altro, se fossi un’autrice dai cui libri stanno traendo un film o una serie tv sarei molto offesa se la storia che ho costruito diventasse tutt’altra. Credo che reagirei un po’ come Ursula K. Le Guin, che, dopo aver visto la miniserie canadese tratta dalle sue Cronache di Terramare (che un giorno riuscirò ad iniziare, spero), si è addirittura chiesta se i produttori avessero capito il senso dei suoi romanzi.


Ironicamente, ho letto queste parole proprio il giorno in cui ho comprato il quinto libro. Questa serie, con la sua scrittura pesante, il ritmo lento e i personaggi che non fanno altro che rimuginare per capitoli interi su quanto avvenuto due libri prima, mi sta un po’ annoiando, tranne alcune storyline. Lo ammetto. Eppure, continuerò a leggerla, perché bene o male voglio sapere come va a finire. Forse questo vuol dire che non sono del tutto annoiata. Mi è capitato di abbandonare delle serie che erano peggiori di questa. L’unica cosa è che non mi va di spendere tutto il prezzo di copertina. Per cui, continuerò la mia strategia: ne comprerò un volume appena raggiunti i fantastici 50 punti della Giunti card e il suo sconto. E basta.

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martedì 12 maggio 2015

APOCALYPTICA!!!!

No, no, non sto delirando sull'Apocalisse o roba simile, state tranquilli...semplicemente da due settimane a questa parte non faccio quasi altro che ascoltare questo gruppo finlandese. Non badate al loro nome, anche quello è ingannatore. Potresti aspettarti un gruppo di black metal...e invece scopri questo.



Metal con il violoncello! Con il violoncello!! Poi, va bene, hanno anche un cantante, però personalmente preferisco le canzoni solo strumentali, tranne questa versione di Faraway cantata dalla cantante svedese Linda Sundblad.


Poi, fanno anche canzoni con ritmi più propriamente metal, come per esempio Hope.


E sono anche capaci di rivisitare un mito della musica classica norvegese, Hall of the Mountain King di Edvard Grieg, una delle musiche di Peer Gynt.



E ora rifatevi gli occhi con Perttu Kivilaakso...


Ok...era da un bel po' che non facevo un post del genere su un gruppo. Abbiate pazienza, mi passerà e la prossima volta scriverò qualcosa di un po' più serio e sensato. Fino ad allora...continuo alternativamente a saltellare e volteggiare sulle note di Till Death Do Us Part!


martedì 5 maggio 2015

Leggere in autobus

E' da un po', ormai, che leggo in autobus. Prima, avevo sempre qualcuno con cui chiacchierare. E ora, da quando vado all'università, mi ritrovo da sola, sia di mattina che di sera. Stare sempre ad osservare le persone mi annoia, e viste certe zone nelle quali passa il mio autobus, spesso la varietà umana che ci incrocio non è nemmeno interessante, se non qualche eccezione. Per cui, cosa c'è di meglio di un buon libro che mentre viaggio sull'autobus mi fa viaggiare anche con la mente?

Risultati immagini per leggere in autobus

Di solito, riesco a leggere in questo modo una ventina di pagine al giorno se mi si lascia tranquilla. E' un bel po', se si conta che da quando sono all'università la sera sono spesso stanca morta e riesco a stare sveglia al massimo una mezzoretta prima che mi si chiudano gli occhi oppure che io non capisca più un'acca delle frasi. Prima, riuscivo a leggere anche una sessantina di libri all'anno...l'anno scorso, appena venti. Anche se di questo fatto incolpo un po' anche l'uomo con il cappello da capitano...per leggere Il Banchetto dei Corvi, vero titolo del quarto volume del Trono di Spade, di nuovo ci sto mettendo più di un mese, e sono circa 750 pagine. Per leggere lo stesso numero di pagine di Robin Hobb, ci metto una decina di giorni. 


Sono sempre l'unica che legge in autobus. Gli altri chiacchierano, ascoltano musica oppure stanno in silenzio. Mi è capitato raramente di vedere altre persone che lo facessero, e ogni volta cerco di spiare il titolo del libro che hanno tra le loro mani. Ciò non vuol dire però che non presto la minima attenzione a chi spesso prende l'autobus con me. C'è una ragazza dai capelli molto corti che però si sta facendo allungare una ciocca che si lega in una treccina (e sospetto che abbia copiato me o la mia amica Chris, visto che siamo state noi le iniziatrici di questo stile e che qui a Sassari sta cominciando lentamente a diffondersi), un'altra che ha un paio di orecchini stupendi a forma di Jolly Rogers. Ogni volta che la vedo, penso che dovrei trovare il coraggio di chiederle dove li ha trovati. C'è anche una coppia. O almeno, penso che siano una coppia. Un uomo e una donna sulla cinquantina, con gli occhiali, sempre silenziosi, entrano a due fermate diverse ma quando il posto accanto all'uno o all'altra è libero si siedono vicini. Altrimenti, si siedono ad un altro posto, ma mai troppo lontani. Scendono al capolinea, come me, e sono sempre l'uno accanto all'altra quando lo fanno. C'è qualcosa, una sorta di aura attorno a loro, che fa sentire che non sono semplici conoscenti, ma qualcosa di più, nonostante non li ho mai visti parlare tra loro ma soltanto scambiarsi semplici e rari sguardi. 


E poi, ci sono io, con i miei libri enormi o brevi, in francese o in italiano, di tutti i generi. Spesso, sono lasciata tranquilla...ma altre volte non è così. Ci sono giorni in cui chi si mette nei sedili di dietro comincia a spingere in avanti il mio schienale con i piedi, facendomi sobbalzare in continuazione. Ci sono ragazzi che si mettono a gridare per cercare di distrarmi. Una donna con un bambino di neanche un anno che lascia che lui mi tiri i capelli mentre il padre dice: "Se glieli tira rido". Quella volta, ho reagito, semplicemente girandomi, facendo un bel sorrisone al bambino e dicendogli "Ciao". Da allora, i genitori si mettono a distanza da me. 

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Però, nonostante questi piccoli disturbi, non penso mai di smettere. Se c'è una cosa che ho imparato ultimamente, è quella di non soffrire per chi non si merita la mia sofferenza, non smettere di essere me stessa perché potrei essere presa in giro o ritenuta 'strana', un appellativo che tanto mi insegue dalla fine della terza media se non da prima. Ci sarà chi penserà che è sbagliato eccetera. Ma non me ne curo. Io sono così. E' forse egoista, ma dall'altra parte odio le apparenze e le ipocrisie, le ho sempre odiate. A volte, riguardo le mie attività, c'è chi mi dice: "Ah, lo farei anche io se...". No cara. Fallo è basta, fregandotene degli altri. Se la gente che ti è vicina ti vuole stampata a modello standard, allora vuol dire che non ti vuole realmente bene, che non ti apprezza per ciò che sei ma per ciò che appari. E non è giusto, non è un vero sentimento. Per cui, continuerò a leggere in autobus, perché se c'è un momento della giornata che apprezzo, è quello in cui apro la zip della mia borsa ed estraggo il mio libro...

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giovedì 30 aprile 2015

La Giornata Mondiale del Libro...in ritardo

Sono in ritardo. In ritardissimo. E tra venti minuti scappo a lezione...ma non volevo non fare questo post entro la fine di questa settimana.

Giovedì scorso, è stata la Giornata Mondiale del Libro. Per me, è stata una giornata un po' particolare, almeno a partire dal pomeriggio, quando ho lasciato l'università e sono andata in libreria. La Giunti ha fatto una bella iniziativa, raddoppiando per un giorno i punti della Giunti Card,ad ogni acquisto, che solitamente uso per comprare libri del costo superiore ai sedici euro, e regalando un libro. Io ho preso Bianca come il latte rossa come il sangue di Alessandro D'Avenia, un po' perché il suo libro mi incuriosiva, un po' perché il 7 maggio D'Avenia sarà qui a Sassari a presentare il suo nuovo libro, Ciò che inferno non è. E io, da brava cacciatrice di autografi, non posso certo lasciarmi sfuggire una tale occasione...

Quanto al libro che mi è stato regalato, è Wonder di R.J. Palacio. Lo avevo visto in libreria, e ammetto che finché non l'ho preso non sapevo di cosa parlasse. Poi, la commessa me ne ha un po' spiegato la trama, e beh...uno di questi giorni lo leggerò.

La tappa successiva, insieme alle mie amiche che mi avevano raggiunta, è stato l'ex mercato di Sassari. Qui, ho incontrati lei...


Licia Troisi, grazie alla quale le mie ricreazioni al ginnasio e per una parte del liceo sono state molto meno sole. Grazie ho cavalcato draghi come Nihal, sconfitto la perfida Setta degli Assassini come Dubhe, fatto un'inchiesta su strane morti magiche come Telkar. Incontrarla, come nel 2008, anche se allora ero decisamente più 'piccola' di adesso, è stato emozionante.

Bene cari lettori, e ora scappo!!! Spero di scrivere qualcosa la settimana prossima. Lo spero proprio...buon lungo fine settimana a voi!!

martedì 14 aprile 2015

Folletta Style


Ieri, l'ho preso. Giusto in tempo, perché poco dopo che sono passata al negozio per farmelo mettere da parte è arrivata un'altra ragazza che lo voleva. Sto parlando del vestito là su. Lo sto adorando. Un vestito da folletta, un po' strambo...ma lo indosserò appena farà un po' più caldo.

A presto :*

lunedì 13 aprile 2015

Premio Liebster Award


Buongiorno a tutti! Come promesso, eccomi qui da voi! Oggi, ritiro il premio che mi ha assegnato Anto, il Liebster Award. Mi sono sempre chiesta chi lo abbia inventato...il suo nome non so perché mi fa pensare a qualcosa di tedesco O.o

Cooooooomunque, le regole del premio sono:

1. Ringraziare i blogger che ti hanno nominato. 
2. Rispondere alle dieci domande.
3. Nominare altri dieci blog.
4. Porre dieci domande.
5. Comunicare la nomina ai blog.

Dieci dieci dieci!! Ooook, ce la possono fare. (Si, oggi sto mettendo un sacco di lettere alle parole, la primavera mi rende pazzerella).

Grazie mille Anto! Dato che ultimamente non sono molto attiva su Blogger, questo premio mi ha decisamente sorpresa! Qui, il link al blog di Anto. 

Le sue dieci domande sono:

1. Quanto ti piace ascoltare musica e perché?

Mi piace MOLTO ascoltare musica, anche se a volte ho bisogno dei miei momenti di silenzio completo, in particolare la mattina e la notte, prima di andare a dormire. Mi piace ascoltare musica per le emozioni che trasmette, e anche perché mi concentra moltissimo su quello che sto facendo. Se sto studiando metto tutti i brani che ho in modo casuale, se invece sto leggendo, dipende dal genere di libro. Ultimamente, dato che sono in un periodo di bulimia fantasy, mi sto buttando sul Symphonic Metal, Power Metal ed Epic Music. Però, sto anche amando moltissimo una canzone degli Imagine Dragons, Warriors.

2. Quale sarebbe la tua giornata tipo della vita dei sogni?

Domanda difficile...perché dipenderebbe dalla giornata! Se avessi voglia di rilassarmi, credo che la passerei svegliandomi tardi (adoro svegliarmi tardi, sono pigra!) e leggendo spaparanzata sul letto, preferibilmente con uno dei miei gatti a tenermi compagnia. Però, chissà, magari potrei anche decidere di fare una passeggiatina in campagna... Se invece sono un po' più energica, allora la passerei con le mie amiche, camminando e chiacchierando come facciamo solitamente. 

3. Hai un vizio (piccolo o grande)? Qual'è?

Non so se si può considerare un vizio, ma mi mangio le pellicine delle unghie! Una volta mi mangiavo anche le unghie, ma sono riuscita a smettere in terza media.

4. Cosa basterebbe a cambiarti in meglio la giornata?

Una battutaccia divertente di una delle mie amiche. Giuro, basta quello, e il resto lo affronto senza problemi.

5. C'è un autore che ti fa battere il cuore? Chi è e perché? 

O mamma, pormi questa domanda in questo momento può farmi delirare. Ma cercherò di essere breve. 

Lei si chiama Robin Hobb.


Ed è semplicemente una grandissima scrittrice!! Ha scritto una serie di trilogie ambientare nel mondo di Elderlings, quella dei Lungavista, quella dei Mercanti di Borgomago e quella dell'Uomo Ambrato. Ora, ne sta scrivendo un'altra, chiamata The Fitz and the Fool, ma il primo volume è ancora inedito in Italia (traducetelosubitoooooooooooo!!!). Ha anche scritto quattro libri, sempre ambientati a Elderlings, chiamati Cronache delle Giungle della Pioggia. Perché mi fa battere il cuore? Veramente, ci sono mille motivi. L'ambientazione è molto originale, non avevo mai letto qualcosa di simile nel fantasy, i personaggi ti entrano dentro e non ne escono più, sia quelli che ami sia quelli che odi, il suo stile di scrittura è scorrevole e affascinante, ti cattura e non ti fa più staccare dal libro. Sono arrivata ad andare su Deviantart e scaricare fan art che ora sfilano sul mio desktop...credo che fosse dai tempi in cui leggevo Silvana De Mari che una storia non mi ossessionava a tal punto. Martedì scorso mi sono ritrovata a piangere alle tre del mattino per un momento tristissimo...e ho continuato a leggere per un'altra ora, sognando poi quel che avevo letto, ovviamente. Consiglio calorosamente i suoi libri, purtroppo poco conosciuti in Italia. Ma vi giuro che vale assolutamente la pena di essere letta. 

6. Qual'è la città di cui porti il ricordo più bello e quella nella quale un domani ti piacerebbe vivere?

Per la prima risposta, Plymouth, in Inghilterra. Ci ho passato cinque fantastiche settimane a 17 anni, per un progetto di lingua chiamato Leonardo. Stavo nella casa di una signora con un vecchio micione di 18 anni che continuava a giocare con i suoi topini di stoffa come se ne avesse uno e lavoravo come commessa in un charity shop. E' stata la più bella esperienza che ho fatto sino ad adesso, mi sono ritrovata in situazioni nelle quali dovevo sbrigarmela da sola (non dimenticherò mai il giorno in cui mi sono persa e ancora non sapevo parlare bene l'inglese, di modo che mi sono dovuta far capire a gesti e inglese maccheronico), e questo mi ha fatto crescere molto. La rifarei mille volte. 

Per la seconda risposta...sinceramente...non saprei!! Certo, mi piacerebbe vivere in un paese straniero, e perché no proprio l'Inghilterra, ma per quel che riguarda la città, credo che andrò dove mi porterà il lavoro! Più che altro, non mi piacerebbe vivere in un centro grande...amo le strade non troppo affollate, e non vorrei ritrovarmi come a Parigi dove ho avuto un istante di terrore sui Champs E'lisée. Troppa gente O_O

7. Cibo preferito?

La fregola alla pescatora. Se piccante, ancora meglio.

8. Qual'è il tuo genere di film preferito?

Mi piace un po' di tutto, devo ammettere. Anche se non mi piacciono i film troppo melensi. Diciamo che tra i generi che preferisco c'è il fantasy, se è ben fatto, la fantascienza, il thriller, i gialli, i film storici quando ricalcano bene la storia (mi ricordo ancora di aver visto un film cinese ambientato nell'800 d.C. in cui appariva l'IMPERATORE ROMANO D'OCCIDENTE che parlava latino con l'imperatrice cinese...) e i film di pirati, tranne quelli con Errol Flynn. 

9. Qual'è il cartone preferito della tua infanzia?

Un cartone che nessuno conosce! Il Pianeta Selvaggio, una produzione franco-cecoslovacca del 1973. Direi che il genere è una sorta di fantascienza surreale, con delle sorta di alieni giganteschi che usano gli uomini come animali da compagnia. Nonostante molti la trovino inquietante, mi è sempre piaciuta l'idea che magari gli uomini potrebbero non essere l'animale più evoluto dell'Universo. Qui, una delle scene più belle e inquietanti. 


10. Dimmi una cosa che hanno fatto tutti, ma che tu non hai fatto. 

Uhm...la maggior parte delle bambine hanno fatto almeno un mesetto di danza classica nella loro vita...io no!! Lo sport che ho praticato e che più vi si avvicina è ginnastica artistica, ma non ero per niente brava e mi sono quasi rotta l'osso del collo (letteralmente). Alla fine, ho sempre amato sport più di squadra e non proprio da ragazza. 

Ed ecco qui! Ora, per la regola dei dieci blog, mi trovo davvero in difficoltà, per cui...lo assegno a tutti i blog che seguo :D

Le miei dieci domande *comincia a spremersi il neurone solitario* sono:

1. Se potessi vivere in un'altra epoca, quale sceglieresti?
2. Hai animali?
3. Fai o hai mai fatto collezione di qualcosa?
4. Qual'è la serie letteraria che ti ha più appassionato?
5. E quella cinematografica?
6. Utilizzi un social network, a parte blogger?
7. Qual'è la tua bevanda fresca preferita?
8. E il tuo cibo fresco preferito?
9. Il tuo gusto di gelato preferito? (la mia fantasia sta andando in panne)
10. Qual'è il film che più hai odiato?

Ecco qui, ho finito. Uff!!

Vi avverto che domani rischio di non postare nulla come avevo invece promesso. Il PC ha un problemino alla ventola e lo devo portare da un tecnico...comunque sia, appena posso tornerò a parlarvi...a presto cari follower. <3

venerdì 10 aprile 2015

Voglia di Blogger

La prossima settimana aspettatevi a dei post. Tanti post. Uno al giorno da lunedì a venerdì. Questo posto mi manca, e tantissimo!! E la prossima settimana, dato che mi prudono le dita dalla voglia di scrivere, ci sarò, prima di tutto per ritirare il premio di Anto (scusami ancora per aver visto il commento solo ora ç_ç). Nel frattempo, vi lascio con una frase tratta da La Nave della Pazzia di Robin Hobb e una fan art di un personaggio del libro, Ambra, trovata su Deviantart. Il post che ho scritto sul blog dei libri non mi è per niente bastato.

"Metà dei mali di questo mondo avvengono mentre le persone oneste stanno a guardare e non fanno niente di male."

 A presto!!


giovedì 26 marzo 2015

Libri...dritti al cuore!

Buonasera a tutti.

Nell'ultimo post, vi ho accennato ad un progetto sui libri al quale stavo dedicando un po' di tempo. Ebbene, circa due settimane fa l'ho fatto partire! Si tratta sostanzialmente di un modo per condividere la mia passione per i libri (si lo so, l'ennesimo...ma stavolta lo mantengo, giuro!). Ho creato un canale Youtube con il mio nome (al momento, ho caricato un solo video, ma prossimamente ne caricherò un altro), una pagina Facebook, un account Twitter ed infine un nuovo blog. Preferisco tenere Foglie d'erba solo per le cose di argomento vario, per questo ne ho creato uno nuovo.
Spero che la cosa vi piaccia e che veniate in tanti!!

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A presto :*


venerdì 6 marzo 2015

Blogger a singhiozzo

Bene bene, guardiamoci in faccia. Avrete notato che da un po' di mesi a questa parte, pubblico si e no un post al mese e non sto più commentando altri blog. Non è che il blog non sia più una mia preoccupazione. Semplicemente, l'università mi sta mangiando viva. E quindi, tra esami, registrazioni da copiare, lezioni, spazi da riservare alle mie amiche, appunti da mandare a destra e a manca, una montagna (letteralmente) di libri da leggere e che vengono letti al rallentatore...non riesco a posarmi per scrivere un post decente. Non del tutto, almeno, e se lo faccio è a discapito di altre cose. Vi faccio l'esempio del post di ieri: l'ho scritto durante l'ora di filologia romanza, affidandomi sono al registratore e quindi non seguendo la spiegazione sulle isoglosse. L'ho copiato sul blog durante il pomeriggio e poi sono dovuta correre a Legislazione dei Beni Culturali. Studio nella giornata? Zero. Quindi, è una cosa che preferisco fare di rado, anche perché spesso, come dicevo sopra, ho la testa altrove. C'è poi il fatto che sto pensando ad un progetto dedicato ai libri che stavolta voglio mantenere e al quale dedico se va bene una decina di minuti al giorno, motivo per cui procede piuttosto lentamente. E c'è poi anche il fatto che nel week end dedico un'oretta alle due storie che sto scrivendo, una completamente mia e un'altra che è poi una fanfiction sul Trono di Spade ispirata ad un delirio fatto insieme alla mia amica Chris su Lyanna Stark e Rhaegar Targaryen. E poi, a volte guardo un film. Quindi, è per questo che non mi sto dedicando troppo al blog. Un giorno o l'altro ritroverò tutta la mia testa, anche se proprio non so dirvi quando.

Buona giornata a tutti!

Barts New Friend Books animated GIF    

giovedì 5 marzo 2015

La mia serata cinema

La mia serata cinema comincia uscendo dall'università, dopo una lezione sulle leggi relative ai beni culturali dell'Italia post-unitaria e una lunga discussione di politica con un collega. Piove. Tiro fuori l'ombrello e lo apro. La mia idea è quella di prendere una pizza nel centro. Mano a mano che avanzo, la giungla umana cambia: da studenti universitari stanchi si passa a donne in carriera che chiudono i loro uffici, commesse della Conad che finiscono il turno e commercianti che abbassano le serrande dei negozi. Davanti all'ufficio di un avvocato incontro una micia dalla pancia bianca e la testa e la schiena rosse e nere, visibilmente incinta, vogliosa di coccole. Mi fermo un po' per accarezzarla, poi continuo ad avviarmi verso la pizzeria...che si rivela chiusa per lavori. Ma ce n'è un'altra poco lontano, e insieme alla mia pizza prendo anche una fanta, da bere davanti al film. Fuori, a causa della pioggia tutto è deserto. Ne sono contenta, per una volta non c'è la folla di ragazzine truccate peggio di una drag queen e ragazzini che sembrano appena usciti da un video di Justin Bieber e non gli è neanche ancora mutata la voce. Cammino con la mia pizza bollente piena di formaggio fuso con l'idea di fare una passeggiata...ma mi rapisce una libreria. Le porte sono chiuse, ma si sentono soffocate le voci dei proprietari che mettono a posto e puliscono. Mi perdo a guardare la vetrina, a notare le copertine dei libri che già ho, quelle di libri che vorrei avere, quelle di autori che non sopporto, come l'ambiguo Michel Houellebecq che si aggiudica uno scaffale intero con Sottomissione. Alcune copertine mi attirano, altre no, mentre il formaggio fuso mi brucia la lingua. Dopo un buon quarto d'ora passato davanti alla libreria, scendo ancora un po' di più lungo Largo Cavallotti, a vedere la bottega dei cappelli. Ce ne sono per tutti i gusti, di tutti i colori, certo un po' da vecchia...ma comunque mi piacciono moltissimo. E' quella la vetrina che uso per ripassarmi un po' il rossetto. Infine, finalmente, mi avvio verso il cinema. Davanti c'è una piccola folla di persone che escono dal film precedente, Turner di Mike Leigh. Persone per lo più dai quarant'anni in su. Ormai, nel pubblico di Sassari chi ha la mia età è raro. Rimane solo un cinema, quando dieci anni fa ce n'erano quattro. Mi aspetto di essere l'unica in sala a vedere Mommy di Xavier Dolan.


E' uno dei miei registi preferiti e finalmente, dopo aver vinto il premio della giuria ex aequo con Jean-Luc Godard allo scorso festival di Cannes, viene distribuito in Italia.


Dovrò sopportare il doppiaggio, ma poco importa. ora che posso vedere un suo film al cinema, sopporto tutto. Prendo il mio biglietto, e so già che lo conserverò. Poi, entro in sala. Una sala che tra poco sarà sorprendentemente riempita da una trentina di persone. 


I film di Xavier Dolan parlano di quelli che, come dice con spregio uno dei personaggi 'normali' del film, vengono definiti disadattati. Una madre e un figlio che non vanno d'accordo su niente in J'ai tué ma mère. 


Un'amico ed un'amica dai gusti retrò che s'innamorano dello stesso ragazzo in Les amours imaginaires. 


Un trentenne professore che si scopre transessuale in Laurence Anyways. 


Un ragazzo che va al funerale del suo amante per conoscerne la famiglia in Tom à la ferme.


In Mommy, Dolan riaffronta il tema della madre lasciato un po' in disparte ma non del tutto dopo J'ai tué ma mère. C'è sempre una madre, nei suoi film, e spesso non è uno degli esempi migliori di figura materna. 

 

Dopo che in un Quebec immaginario è stata votata una legge che permette ai genitori di un figlio affetto da problemi psichici di abbandonarlo legalmente, Diane si ritrova ad essere costretta a riprendere a casa il proprio figlio Steve, affetto da deficit di attenzione e da crisi che lo rendono violento. Perde il lavoro e si ritrova in una situazione sempre più difficile, nonostante l'aiuto della vicina Kyla.


La storia prosegue verso la sua inevitabile conclusione, e io mi ci perdo dentro, nonostante il doppiaggio mi disturbi parecchio, perché lo stile di Dolan è lì, con i suoi colori, le sue bellissime musiche e i costumi, i primi piani, le immagini che d'un tratto scorrono a ritmo più lento. 


Quasi a sottolineare la chiusura, l'oppressione dei suoi personaggi, schiacciati dagli incontrastabili eventi della vita, Dolan ha scelto per questo film il formato 1:1, un formato quadrato che sembra chiudere in una claustrofobica scatola il soggetto, senza vie d'uscita per l'occhio dello spettatore. E quando tutto sembra andare per il meglio, allora ecco che la scatola si apre, per tornare, lo spazio di un istante felice o di un sogno ad occhi aperti di una vita normale che mai avverrà, al classico formato rettangolare. Cosa che, insieme a tutto il resto, alla perfetta armonia dei dettagli, che saranno sempre utili e mai da tralasciare in un film di Xavier Dolan, mi ha lasciato con le lacrime agli occhi. Solo io posso piangere per formato...



Sono uscita dal cinema commossa come non mi accadeva da un po'. Probabilmente, il giorno in cui sarò madre e rivedrò questo film mi farà un effetto ancora peggiore. 


Lo consiglio a tutti per scoprire o riscoprire questo regista che secondo me è uno dei migliori in circolazione. 


"Nella vita non può accadere che una madre ami di meno suo figlio. L'unica cosa che accadrà, sarà che ti amerò sempre di più, e sarai tu che mi amerai sempre di meno."