mercoledì 18 febbraio 2015

Elogio della matita

Colorata e appuntita, chiusa nel pugno e brandita come un'improbabile arma, la matita è diventata il simbolo dei drammatici accadimenti di Parigi. Dobbiamo chiederci se non si tratta del suo ultimo, tragico momento di gloria, prima di imboccare la via dell'ineluttabile tramonto.Con la matita abbiamo imparato a scrivere, a tracciare su un foglio di carta pensieri articolati secondo un ordine convenzionale e comprensivo. Sono, però, bastati pochi decenni a trasformare matita e carta in strumenti d'altri tempi. Preferiamo affidare i nostri pensieri ai tasti di virtuali macchine da scrivere -computer, tablet, telefoni- spesso mediante il solo uso dei pollici. Alla scrittura -quella vera, faticosa, fatta di macchie, cancellature e steli masticati- riserviamo tutt'al più un'esistenza di nicchia.


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Negli USA (in alcuni Stati federali) e in Canada, ai bambini non si insegna più il corsivo e il computer sostituisce la matita sin dai primi anni di studi. Nei Paesi Bassi, esistono già oggi scuole in cui il tablet ha totalmente soppiantato quaderno e penna, mentre la Finlandia ha appena deliberato di eliminare, a partire dall'autunno del 2016, il corsivo dai piani di studio delle scuole elementari.
C'è, dunque, chi sostiene che unire con la propria mano lettere su un foglio di carta sia troppo faticoso, soprattutto per i giovanissimi che in quel processo devono cimentarsi. Il computer risolverebbe il problema, permettendo ai digitalizzandi di concentrarsi di più sul contenuto stesso dello scritto.

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Ci sentiamo di obiettare: la calligrafia, il corsivo in particolare, è la trasposizione materiale dei nostri pensieri mediante un processo che dal cervello passa direttamente alla mano, e da lì, attraverso la matita (o la penna) arriva sulla carta. Studi eseguiti negli stessi Stati Uniti e in Francia dimostrano che vergare le lettere, piuttosto che sceglierle su una tastiera, attiva un numero superiore di regioni del cervello e tende a far ricordare meglio ciò che è stato appena scritto. La ''lentezza'' della matita favorisce concentrazione e creatività. E non solo nei bambini.

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Scrivere a mano, insomma, fa bene alla mente. Fermi restando i benefici nonché l'ineluttabilità della rivoluzione digitale.

Di Andreas M. Steiner, da Archeo-Attualità del passato, Febbraio 2015

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Da quasi cinque anni, tengo un'agenda. Non è un vero e proprio diario, piuttosto un luogo nel quale annotare eventi, frasi, pensieri, deliri. Ormai sono alla terza agenda, una Moleskine di colore nero sulla quale ho appiccicato l'adesivo del busto di un soldato dalla camicia e dal casco nero a fiori rossi e il viso a stelle e strisce. Ci scrivo con un penna stilografica. Ciò che amo della penna stilografica è la sua forma elegante, il modo in cui va tenuta in mano, il regolare controllo del livello d'inchiostro e il cambio della boccetta vuota. Quei pochi secondi di pausa dalla scrittura durante i quali, alla fine di ogni riga, per evitare sbavature metto sullo scritto un pezzo di carta bevitrice tagliata con le misure della tasca alla fine dell'agenda. Il mio rapporto con le penne stilografiche è iniziato poco prima delle medie, con un pacco dalla Francia nel quale ce n'erano parecchie, insieme a boccette d'inchiostro di tutti i colori. Per un periodo le usai anche a scuola, finché le professoresse non mi chiesero di tornare alle Bic. Negli anni, ad una ad una quelle prime penne stilografiche si sono rotte per il troppo uso, e solo da qualche settimana, da quando i miei mi hanno regalato una bellissima e precisa stilografica Pilot, ho potuto riassaporare tutti i rituali descritti poc'anzi. Durante il periodo in cui non ne avevo, non ho scritto molto nella mia agenda. E' come se le due cose fossero interconnesse.

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A volte ho tentato di tenere una sorta di agenda sul computer, ma l'ho abbandonata dopo poco. E' meglio la carta, la penna, cose vive in un certo qual modo, più tangibili. Spesso, i post che pubblico su questo blog sono prima stati scritti nell'agenda. C'è qualcosa di più vero, a mio parere, in quei post, di meno artificiale. Nonostante, se non esistesse il computer, non stareste leggendo queste parole.