giovedì 5 marzo 2015

La mia serata cinema

La mia serata cinema comincia uscendo dall'università, dopo una lezione sulle leggi relative ai beni culturali dell'Italia post-unitaria e una lunga discussione di politica con un collega. Piove. Tiro fuori l'ombrello e lo apro. La mia idea è quella di prendere una pizza nel centro. Mano a mano che avanzo, la giungla umana cambia: da studenti universitari stanchi si passa a donne in carriera che chiudono i loro uffici, commesse della Conad che finiscono il turno e commercianti che abbassano le serrande dei negozi. Davanti all'ufficio di un avvocato incontro una micia dalla pancia bianca e la testa e la schiena rosse e nere, visibilmente incinta, vogliosa di coccole. Mi fermo un po' per accarezzarla, poi continuo ad avviarmi verso la pizzeria...che si rivela chiusa per lavori. Ma ce n'è un'altra poco lontano, e insieme alla mia pizza prendo anche una fanta, da bere davanti al film. Fuori, a causa della pioggia tutto è deserto. Ne sono contenta, per una volta non c'è la folla di ragazzine truccate peggio di una drag queen e ragazzini che sembrano appena usciti da un video di Justin Bieber e non gli è neanche ancora mutata la voce. Cammino con la mia pizza bollente piena di formaggio fuso con l'idea di fare una passeggiata...ma mi rapisce una libreria. Le porte sono chiuse, ma si sentono soffocate le voci dei proprietari che mettono a posto e puliscono. Mi perdo a guardare la vetrina, a notare le copertine dei libri che già ho, quelle di libri che vorrei avere, quelle di autori che non sopporto, come l'ambiguo Michel Houellebecq che si aggiudica uno scaffale intero con Sottomissione. Alcune copertine mi attirano, altre no, mentre il formaggio fuso mi brucia la lingua. Dopo un buon quarto d'ora passato davanti alla libreria, scendo ancora un po' di più lungo Largo Cavallotti, a vedere la bottega dei cappelli. Ce ne sono per tutti i gusti, di tutti i colori, certo un po' da vecchia...ma comunque mi piacciono moltissimo. E' quella la vetrina che uso per ripassarmi un po' il rossetto. Infine, finalmente, mi avvio verso il cinema. Davanti c'è una piccola folla di persone che escono dal film precedente, Turner di Mike Leigh. Persone per lo più dai quarant'anni in su. Ormai, nel pubblico di Sassari chi ha la mia età è raro. Rimane solo un cinema, quando dieci anni fa ce n'erano quattro. Mi aspetto di essere l'unica in sala a vedere Mommy di Xavier Dolan.


E' uno dei miei registi preferiti e finalmente, dopo aver vinto il premio della giuria ex aequo con Jean-Luc Godard allo scorso festival di Cannes, viene distribuito in Italia.


Dovrò sopportare il doppiaggio, ma poco importa. ora che posso vedere un suo film al cinema, sopporto tutto. Prendo il mio biglietto, e so già che lo conserverò. Poi, entro in sala. Una sala che tra poco sarà sorprendentemente riempita da una trentina di persone. 


I film di Xavier Dolan parlano di quelli che, come dice con spregio uno dei personaggi 'normali' del film, vengono definiti disadattati. Una madre e un figlio che non vanno d'accordo su niente in J'ai tué ma mère. 


Un'amico ed un'amica dai gusti retrò che s'innamorano dello stesso ragazzo in Les amours imaginaires. 


Un trentenne professore che si scopre transessuale in Laurence Anyways. 


Un ragazzo che va al funerale del suo amante per conoscerne la famiglia in Tom à la ferme.


In Mommy, Dolan riaffronta il tema della madre lasciato un po' in disparte ma non del tutto dopo J'ai tué ma mère. C'è sempre una madre, nei suoi film, e spesso non è uno degli esempi migliori di figura materna. 

 

Dopo che in un Quebec immaginario è stata votata una legge che permette ai genitori di un figlio affetto da problemi psichici di abbandonarlo legalmente, Diane si ritrova ad essere costretta a riprendere a casa il proprio figlio Steve, affetto da deficit di attenzione e da crisi che lo rendono violento. Perde il lavoro e si ritrova in una situazione sempre più difficile, nonostante l'aiuto della vicina Kyla.


La storia prosegue verso la sua inevitabile conclusione, e io mi ci perdo dentro, nonostante il doppiaggio mi disturbi parecchio, perché lo stile di Dolan è lì, con i suoi colori, le sue bellissime musiche e i costumi, i primi piani, le immagini che d'un tratto scorrono a ritmo più lento. 


Quasi a sottolineare la chiusura, l'oppressione dei suoi personaggi, schiacciati dagli incontrastabili eventi della vita, Dolan ha scelto per questo film il formato 1:1, un formato quadrato che sembra chiudere in una claustrofobica scatola il soggetto, senza vie d'uscita per l'occhio dello spettatore. E quando tutto sembra andare per il meglio, allora ecco che la scatola si apre, per tornare, lo spazio di un istante felice o di un sogno ad occhi aperti di una vita normale che mai avverrà, al classico formato rettangolare. Cosa che, insieme a tutto il resto, alla perfetta armonia dei dettagli, che saranno sempre utili e mai da tralasciare in un film di Xavier Dolan, mi ha lasciato con le lacrime agli occhi. Solo io posso piangere per formato...



Sono uscita dal cinema commossa come non mi accadeva da un po'. Probabilmente, il giorno in cui sarò madre e rivedrò questo film mi farà un effetto ancora peggiore. 


Lo consiglio a tutti per scoprire o riscoprire questo regista che secondo me è uno dei migliori in circolazione. 


"Nella vita non può accadere che una madre ami di meno suo figlio. L'unica cosa che accadrà, sarà che ti amerò sempre di più, e sarai tu che mi amerai sempre di meno."



















































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