venerdì 9 gennaio 2015

Je suis Charlie


Oggi, ho deciso di sospendere la pubblicazione di recensioni. E’ un obbligo reagire a quanto accaduto avant’ieri, e se avessi avuto la connessione disponibile lo avrei fatto da subito. Ho anche pensato di venire a Sassari ieri invece di oggi. Ma poi, mi sono resa conto che non me lo posso permettere a causa dello studio. La causa per la quale scrivo queste poche righe, che vanno ad aggiungere qualche goccia a quell’oceano che si è creato in questi giorni, è importante, certo, ma insieme all’indignazione penso che un modo per combattere il terrorismo islamico sia l’istruzione, la conoscenza, in particolare quella della storia e dei testi, oltre che di tutte quelle cose che distruggono l’ignoranza che queste persone vorrebbero far diventare corrente, in particolare tra le donne. Ma questa è un’altra storia.



Tutto inizia con la telefonata di una mia amica che mi chiede se sto bene e se la mia famiglia sta bene. Rispondo di si, e sorpresa, chiedo il perché. Mi dice che c’è stato un attentato a Parigi, contro un giornale satirico, e ci sono 12 morti. La sensazione è quella di quando ti stai godendo una fantastica doccia calda e all’improvviso l’acqua fredda prende il sopravvento. Di solito sono reattiva a questo genere di notizie, ma in quel momento, fuori da un negozio in cui stavo facendo shopping, non riesco a realizzare. Però, subito il mio pensiero va a Charlie Hebdo, giornale satirico conosciuto da tutti, uno di quei giornali dei quali penso: “Se vivessi in Francia, di tanto intanto lo comprerei”. Un giornale che ha avuto il coraggio di pubblicare le famose caricature di Maometto che nel 2004 avevano fatto scoppiare un putiferio in Danimarca, attirandosi denunce e minacce. Nel 2011, la sede del giornale era stata incendiata. Ma ci sono anche altri giornali satirici…lo shopping continua, ma non vedo anche l’ora di tornare a casa per sapere. Appena rientrata, dopo aver messo da parte buste e borse, accendo la tv. Devo aspettare il giornale delle 18 per sapere qualcosa. E quel qualcosa è uno shock. Cabu, Wolinski, Charb, Tignous. Nomi dei quali senti spesso al telegiornale, perché loro sono sempre lì, a commentare con i loro disegni fatti a veloci tratti l’attualità, dandole uno sguardo ironico e al tempo stesso amaro, intelligente, che suscita quella risata riflessiva che solo una buona caricatura può darti. Non vedrò più Charb il venerdì durante 28 minutes su Arte. Cabu non sarà più intervistato su TV5. Vedo il video, girato da un tetto, di un giornalista di una testata che ha sede vicino a Charlie Hebdo, sento gli spari, le grida che inneggiano alla vendetta per Maometto. Credo di aver passato più tempo davanti alla tv in questi due giorni che nell’arco di buona parte delle feste. Sono passata dalla confusione, all’emozione, allo stupore, all’indignazione. Alla non comprensione, anche e ancora. Come può qualche tratto di matita ammazzare? Come possono le persone essere così fanatiche? Prima su Where is my Mind?, oggi su Foglie d’Erba, ho spesso scritto di atti simili, dei salafisti che vogliono vietare i bikini alle turiste occidentali, della distruzione dei monumenti e dei manoscritti di Timbuctù, delle ragazze rapite in Nigeria, e ogni volta non c’è verso, lo stupore e l’incomprensione verso questi atti ignobili mi colgono alla sprovvista. Resto incollata a guardare quelle caricature, quei volti ora scomparsi, arrabbiata, certo, ma anche sorpresa che si possa uccidere in nome di un Dio, al quale io certo non credo, ma rispetto chiunque creda, purché rispetti il mio pensiero, spesso, se so che qualcuno è credente, non importa se cristiano, musulmano, ebreo o anche wiccan, ci parlo di religione, perché mi interessa capire chi crede. La religione è essenziale nel mondo nel quale vivo, non posso rinchiudermi nel mio ateismo e ignorarla. Tra i libri dei quali dico sempre “Un giorno lo leggerò”, ci sono la  Bibbia, il Corano, la Torah, i testi sacri del buddismo e dell’induismo. Ritengo di essere una persona aperta, non sono razzista, eppure di quelle caricature ho riso, proprio perché non sono razziste, criticano la religione, tutte le religioni, ma non quelli che la praticano, gli autori lo hanno più volte ribadito, il modo stesso in cui componevano i loro disegni lo riflettono. Ma proprio il discorso del razzismo è fuorviante, in questo caso, perché c’è in gioco qualcosa di superiore. Non so come i media italiani stiano trattando la notizia, a casa tra le altre cose non ricevo i canali italiani, ma spero che mettano l’accento proprio su questo fatto.


In questo momento c’è in gioco la libertà di esprimere la nostra opinione. Poco importa se con una matita o una penna, o le lettere stampate sulla tastiera di un computer. Sono stati uccisi dei giornalisti, il fior fiore della caricatura francese, perché hanno avuto il coraggio di esprimere il loro sguardo sulla società, senza limiti, senza autocensure. Si può ribattere che con il clima che c’è in Francia e nel mondo in generale in questo periodo disegnare Maometto o Dio sia un atto poco prudente, ma in questo caso proprio la prudenza è il primo passo verso l’autocensura e soprattutto verso la vittoria degli estremismi. Oggi più che mai dobbiamo difendere questo diritto acquistato dai nostri padri e da tanti altri giornalisti anche in questi giorni con il sangue, oggi più che mai dobbiamo elevarci contro chi ci vuole impaurire e rendere muti, parlando, scrivendo, fotografando, accendendo una telecamera e condividendo, usando tutti i mezzi a nostra disposizione per gridare la nostra opinione su qualunque cosa, oggi che abbiamo la possibilità di farlo con mezzi di comunicazione che Voltaire, Zola, Jaurès si sarebbero sognato per la loro immediatezza ed efficacia. Invito chiunque legga questo post a esprimere la propria indignazione, la propria rabbia e il proprio diritto ad esprimersi, prendiamo una penna e uniti, al di là delle nostre opinioni politiche, al di là delle nostre credenze religiose, diciamo no all’estremismo, non abbiamo paura di voi, ci batteremo perché il mondo in cui viviamo possa rimanere libero, civile, ricco di cultura e di dibattito, perché un mondo che ha tante idee diverse su uno stesso argomento e le affronta in modo civile è un modo che avanza, un mondo in cui c’è ancora la speranza che si possa migliorare, e che quella opinione sia ironica o seria, che susciti la risata o meno, non importa, purché sia costruttiva. Perciò, anche io oggi dico Je suis Charlie. Oggi prendo una penna e la sollevo al cielo per Charb, Georges Wolinski, Tignous, Jean Cabu, Bernard Maris, Honoré, Michel Renaud, Franck Brinsolaro, Ahmed Merabet, Mustapha Ourrad, Frédéric Boisseau, Elsa Cayat. Charlie non è morto, e non morirà finché ci saremo noi a gridare contro queste persone che non ci possono chiudere la bocca, non ne hanno il diritto. Ma noi abbiamo il diritto di aprirla. 










 





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